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Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/358

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atto terzo.— sc. v. 353

Ritocco alfin la reggia mia! Caduto
È da quest’occhi il velo: intelligenza
Scellerata è fra il popolo e Giovanni,
E gli Arabi, e costei. L’empio profeta
Affascinata aveami; avea promesso
A’ suoi fautori di cacciarmi in bando
Colle infernali sue paure. Appena
Fui veduta fuggir, di mormoranti
Brulicaron le vie; mostrata a dito
Era e schernita: pria sommessamente
Indi con grido unanime. E di borgo
In borgo ripeteasi: «È maledetta!
Espulsa è alfin! Precipitata alfine
Sei nell’obbrobrio, o Jezabele! Muori!»
E il volante mio carro orrendamente
E pietre e dardi perseguian. L’auriga
Agitava il flagello, e m’involava
Agli omicidi. I più deserti lochi
Avveduto cercava, e così al guardo
Altrui per molti campi ei mi sottrasse.
Ma ovunque sovra i poggi o nelle valli
Fosse un mucchio di case, uscia la gente
Al romor de’ cavalli, ed alle orecchie
Tosto si susurrava: «È Jezabele!»
E chiamavanmi adultera, e impudenti
Viva a Sefora alzavano e a Giovanni,
E dicean: «Opra è del profeta! Ei regni!
Egli è il Messia! Di lui ministro è Erode!»
Erode.Scellerati!
Erodiade.                    Incontrai per le montagne
Di Nazaret roman drappello. Il prode
Centurïon mi difendea. Scortata
Il cammin fatto ricalcai. Mi vede
E ammutolisce da stupore il volgo,
Poi tarde e vane contumelie innalza.
Contumelie non temo. Eccomi! A piedi
Morrò del trono, al re mio sposo allato!
Sefora.Insana, Erode, insana ell'è.