Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/267

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atto terzo 255


Ciacco. Sarebbe egli qualche plebeo?

Messer Cesare. Pare a me che non si conoscano molto i gentiluomini dai plebei, a questo tempo.

SCENA VI

Messer Cesare, Ciacco.

Messer Cesare. Costui se n’è andato. Ciacco, al fatto nostro. Hai condotta la mia signora lá giú?

Ciacco. Pensate che io stia a dormire?

Messer Cesare. Che perdiamo noi, adunque, tempo? Andiamvi.

Ciacco. Sapete ciò che io vi voglio prima dire?

Messer Cesare. Non giá.

Ciacco. Bisogna che, per questa volta, usate con esso lei un poco d’onestá; perché la fanciulla, come sapete, è vergine e la piú vergognosa non vidi a’ miei di.

Messer Cesare. Paioti io cosí sfrenato?

Ciacco. Dico che, dove voi credereste avanzare, perdereste di largo e le cadereste forse in odio: perché io le ho detto di voi tutto quel bene che se ne può dire e pensare; e con gran fatica e con artificio mirabile l’ho condotta a tal passo. E, sopra tutto, m’è convenuto farle mille sacramenti che, se ella non vorrá, voi non le usarete forza.

Messer Cesare. Forza? Io non voglio da lei se non quanto ella vorrá, né piú né meno. Che bisognano parole? Il mio voler sará congiunto col suo.

Ciacco. Sta bene. Non accade, adunque, dire altro. Voi sapete chi ella è. Andianne.

Messer Cesare. Andianne, Ciacco gentile. Ma lascia che io dica prima alla fante che tenga ben serrato l’uscio.

Ciacco. Dite.

Messer Cesare. Dálie tu una voce.

Ciacco. No, no. Chiamatela pur voi, che, se madonna mi sentisse e conoscessimi, subito sospettarebbe di trama d’amore. Sapete bene che io non le sono molto in grazia.