Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/13

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PROLOGO [del Bibbiena]

Oh che tranquillo sonno e che piacevol sogno m’ha rotto ser Giuliano con quella suo’ voce da camera, che gli venga il canchero! Se mi donassi il miglior poder ch’egli abbi, non mi ristorerebbe del piacere che m’ha tolto svegliandomi. Io dormiva qua come un tasso e sognava d’aver trovato l’anel d’Angelica; quell’anel, dico, che chi lo portava in bocca non poteva esser veduto da persona. Pensate or voi, donne mie, se io era allegro di sí fatta ventura! Io faceva pensiero di andarmene invisibile alle casse di certi pigoloni avaracci, a’ quali non si trarrebbe un grosso delle mani con le tanaglie di Nicodemo, e quivi volevo fare un ripulisti di tal sorte che non rimanessi loro un marcio quatrino. In ogni modo egli è un peccato che cotali miseracci abbin del fiato, poi che, per non spendere un soldo, tengano a patti quasi di lasciarsi morir di fame. Alle spese loro volevo io ragunar tanti denari che io comprassi due bonissime porzioni: chi sarebbe poi stato meglio di me, dite il vero? Pensava poi di vedere tutte le donne di Firenze quando si levano: e forse che i’ non arei potuto farlo, potendo andar per tutto senza esser veduto! — So — diceva io — che non gioverá far meco lo schizzinoso di non voler esser vedute, perché le giugnerò in lato che non potranno nascondermisi! — E giá mi pareva essere a’ ferri, quando, cosí dormendo, mi ricordai che stasera si faceva una veglia. — Orsú — diss’io — inanzi che i’ faccia altro, vo’ dare una scorribandola per queste case e vedere quel che fanno quelle donne che vi sono invitate. — Fatto il pensiero, mi pongo l’anello in bocca; e, parendomi di non poter esser veduto, entro in una casa. E truovo che ’l marito faceva un grande afrettare la moglie che andassi via presto, e non le dava tanto agio che la poveretta si potessi a pena assettare. Maraviglia’ mi di tanta fretta che colui le faceva; e, considerando molto bene a