Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/349

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atto secondo 341


Giglio. Guadagno? Giuro a Dios que piú guadagnante con á mi que con el primo gentil ombre de está tierra; y, aunque vos paresque cosí male aventurade, io son de los buenos y bien nascidos ydalgos de toda Spagna.

Pasquella. Un miracolo non ha detto signore o cavaliere!

poi che tutti gli spagnuoli che vengon qua si fan signori. E poi mirate che gente!

Giglio. Pasquella, tomma mia amistade, que buon por a ti!

Pasquella. Che mi farai? signora, ch?

Giglio. Non quiero se non que seays mia matre. E io quiero ser vostro figliolo y, alias vezes, aun marido, se vos verrá bien.

Pasquella. Eh lasciami stare!

Giglio. Reióse: eccha es la fiesta.

Pasquella. Che dici?

Giglio. Que vi voglio donare un rosario para dezir quando es la fiesta.

Pasquella. E dove è?

Giglio. Veiolo aqui.

Pasquella. Oh! Questa è una corona. Che non me la dai?

Giglio. Se volite ser mia madre, io vos la dare.

Pasquella. Sarò ciò che tu vuoi, pur che tu me la dia.

Giglio. Quando podremos ablar giuntos una hora?

Pasquella. Quando tu vuoi.

Giglio. Dove?

Pasquella. Oh! lo non so dove.

Giglio. Non teni in casa algun logar donde me possa poner io a questa sera?

Pasquella. Si, è; ma se ’l padron lo sapesse?

Giglio. E que! Non saprá nada, no.

Pasquella. Sai? Vedrò stasera se ci sará ordine. Tu passa dinanzi a casa e io ti dirò se potrai venire o no. Or dammi la corona. Oh! Gli è bella!

Giglio. Orsú! Io starò avertido alias vintiquattr’oras.

Pasquella. Or si, ch! ma dammi i paternostri.

Giglio. Io los portarò con me quando verrò agliá, que les quiero primiero far un poghetto profumar.