Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/382

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374 gl’ingannati


Virginio. Oh! oh! Io dico che gli è fatta giá una donna. O maestro, io non v’ho ancor baciato.

Pedante. Padrone, io non dico per vantarmi; ma io ho fatto per il vostro figliuolo... so ben io. E n’ho avuta cagione, ch’io non lo richiesi mai di cosa che subito egli non s’inchinasse a farla.

Virginio. Come ha imparato?

Pedante. Non ha perduto il tempo a fatto, ut licuit per varios casus, per tot discrimina rerum.

Virginio. Chiamatelo un poco fuore; e non gli dite niente. Vo’ veder se mi conosce.

Pedante. Egli era uscito dell’ostarla poco fa. Veggiamo se gli è tornato.

SCENA III

Pedante, Stragualcia, Virginio e Gherardo.


Pedante. Stragualcia! o Stragualcia! È tornato Fabrizio?

Stragualcia. Non anco.

Pedante. Vien qua. Fa’ motto al padron vecchio. Questo è messer Virginio.

Stragualcia. Èvvi passata la còllora?

Pedante. Non sai ch’io non tengo mai còllora con te?

Stragualcia. Fate bene.

Pedante. Or da’ qua la mano al padre di Fabrizio.

Stragualcia. Porgetemela voi.

Pedante. Non dico a me; dico a questo gentiluomo.

Stragualcia. È questo il padre del nostro padrone?

Pedante. Si, è.

Stragualcia. O padron magnifico, a tempo veniste per pagar l’oste. Ben gionto.

Pedante. Costui è stato un buon servitore a vostro figliuolo.

Stragualcia. Volete forse dir ch’io non gli son piú?

Pedante. No.

Virginio. Che tu sia benedetto, figliuol mio! Pensa ch’io ho da ristorar tutti quelli che gli han fatto buona compagnia.