Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/45

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atto secondo 37

si camina, alla tavola si mangia, nelle panche si siede, ne’ lettisi dorme e ne’ forzieri si muore?

Calandro. Come si muore?

Fessenio. Si muore, si. Perché?

Calandro. Cagna! L’è mala cosa.

P’essenio. Moristi tu mai?

Calandro. Non, ch’io sappia.

Fessenio. Come sai, adonque, che l’è mala cosa, se tu mai non moristi?

Calandro. E tu se’ mai morto?

Fessenio. Oh! oh! oh! oh! Mille millanta, che tutta notte canta.

Calandro. È gran pena?

Fessenio. Come el dormire.

Calandro. Ho a morir, io?

Fessenio. Si, andando nel forziere Calandro. E chi morirá me?

Fessenio. Ti morirai da te stesso.

Calandro. E come si fa a morire?

Fessenio. El morire è una favola. Poi che noi sai, son contento a dirti el modo.

Calandro. Dch si! Di’ sú.

Fessenio. Si chiude gli occhi; si tiene le mani cortese; si torce le braccia; stassi fermo fermo, cheto cheto; non si vede, non si sente cosa che altri si faccia o ti dica.

Calandro. Intendo. Ma il fatto sta come si fa poi a rivivere.

Fessenio. Questo è bene uno de’ piú profondi secreti che abbi tutto il mondo e quasi nessuno il sa. E sia certo che ad altri noi direi giá mai; ma a te son contento dirlo. Ma vedi, per tua fé, Calandro mio, che ad altra persona del mondo tu non lo palesi mai.

Calandro. Io te giuro che io non lo dirò ad alcuno; ed anche, se tu vuoi, non lo dirò a me stesso.

Fessenio. Ah! ah! A te stesso sono io ben contento che tu ’l dica; ma solo ad uno orecchio, a l’altro non giá.