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Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/97

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ATTO I

SCENA I

Curzio amante, Rufino servo.

Curzio. Ell’è pur vero el proverbio che i despiaceri e i piaceri non sogliono mai venir soli. E, che ciò sia, in me misero e infelice veder si puote: ch’allevatomi al servizio del mio signore, dal quale giustamente gran premio delle mie lunghe fatighe aspettavo in guidardone di mei mal spesi anni, mi ha contra mia voglia dato moglie. Che sia maledetta tanta ingratitudine che oggidí si vede in questi nostri signori regnare! che, non sí tosto dai miseri servitori el servizio han ricevuto, che l’han posto in oblio. Tristo a chiunque si fida di loro! ché, insino ch’elli hanno necessitá del fatto tuo, t’empromettono, ti giurano, vogliano teco partire el Stato e darti le migliaia de scudi d’intrata e fannoti mille scritture, mille patenti, mille oblighi, ch’in ogni altra persona ch’ad onorato vivere attende vituperevole cosa sarebbe; per ciò che, come non hanno piú di bisogno di te, ti stracciono quanti contratti, quante scritture te hanno fatte e quello che giá fu tuo donano ad un altro e, se tu ti lamenti, cercono di farti uccidere e pensono che ’l mancar di fede sia loro molto onorevole e, se pur voglino mostrare de favorirti, ti danno moglie sí come a me el mio signore ha fatto. Che tal contentezze veggia in lui qual egli ave data a me che, contra mia voglia, me l’ha fatta sposare! E sonno oggimai passati dui anni che, da che seco celebrai le nozze, me partii e vagando per il mondo a guisa di un desperato, ramaricandomi di me stesso che troppo alle lusinghevole sue parole ho creduto, ne sono andato: non perché io non mi aveggia ch’ella non sia nobile, savia e da bene; ma per ciò ch’io