Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/129

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atto quinto 117


Maestro Guicciardo. Andate: che v’aspetto drento.

Guglielmo. Oh Dio! quanta allegrezza sento oggi, figliuolo!

Sguazza. Or ch’io ho inteso che la guerra è finita e che s’è ritrovato un parentado, voglio andare ancor io a rallegrarmi del caso; che, se s’ha a fare sguazzabuglio di nozze, mi ci abbi ancor io a ritrovare. E, mentre, fantasticarò qualche scusa che non m’ero fuggito per paura.

Messer Giannino. Entriamo. Mio padre, passate innanzi.

Sguazza. Veggo, per Dio, che gli entrano in casa del capitano. Messer Giannino! messer Giannino! olá! olá! Non entrate: una parola. Mi rallegro ancor io. Sapete? Non fuggii, a fé.

Messer Giannino. Ecco Sant’Ermo. Addio, Sguazza. Fuggisti el ranno caldo, ch?

Sguazza. Ah! A punto! Anzi, ero corso alla finestra per balestrare a’ nemici polzonate dell’altro mondo. Informatemi un poco delle cose ancor me.

Messer Giannino. Entra dentro. E intenderai come le cose passano.

SCENA VI

Agnoletta sola.

Areste visto, uomini, tornare in casa messer Giannino? Voi non rispondete? Non volete che queste cittadine vi vegghin parlare con le fantesche, ch? Andarò a bussare e veder da me; e, se vi sará, tornarò presto per il presente e portaroglielo. E poi me n’andrò a render la risposta a Margarita: ch’io so che, la poveretta, gli debbe giá incominciare a pruder sopra le ginocchia per la voglia ch’ella n’ha di saper nuova come la cosa del presente è andata.