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Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/156

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144 l’aridosia


SCENA II

Lucido e Cesare.

Lucido. Io sarò qui adesso adesso.

Cesare... La qual, oggimai, per la miseria di suo padre, fornirá inutilmente la sua gioventú.

Lucido. Chi è questo che cosí si scandalezza?

Cesare. Costui m’ara udito.

Lucido. Ah! ah! Gli è il guasto di Cassandra. Tu stai fresco!

Cesare. O Lucido, quanto è che tu sei qui?

Lucido. È un pezzo; e ho inteso tutto quello che hai parlato.

Cesare. S’io non avessi voluto che si fussi inteso, non l’arei detto.

Lucido. I’ mi burlo teco. Adesso vengo. Ma i ragionamenti de’ giovani innamorati vanno in stampa; e, perch’io n’avevo sentiti degli altri, che come te innamorati erono, mi pareva con veritá poter dire d’aver sentiti anche i tua.

Cesare. I mia, Lucido, pur escon di stampa perché i mia mali sono straordinari.

Lucido. Oh! Cosí dicon tutti. Ma e’ mi sa male di non aver tempo da badar teco; perché io t’ho da dire cosa molto al proposito. E, se tu m’aspetti qui, al tornare, te la dirò. E starò poco.

Cesare. Aspetterò mille anni, se m’hai da dir cosa di buono.

Lucido. Lo intenderai. E adesso torno a te.

Cesare. Che domin può essere questo che Lucido dire mi vuole? Cosa appartenente a Cassandra bisogna che sia, perché sa bene che altro amore non ho che ’l suo. Ed anche cosa che importi debbe essere, che non mi farebbe giá aspettar qui indarno. Ma matto ch’io sono! A che mi vo io appiccando? Quasi come io non sapessi qual sieno le novelle de’ servi! Truovon certi loro arzigogoli soffistichi che hanno apparenzia di veri e poi non reggon al martello. Ma l’udirlo che mi nuoce? Sempre è bene ascoltare assai pareri quando in te è rimesso la elezione.