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162 l’aridosia


Ser Iacopo. Io ve lo credo senza cercare, che queste son cose che fanno cosi. Ma non abbiate paura, in mentre che voi avete cotesto lume in mano. Accostatevi piú qua; piú ancora; un po’ piú. Orsú! Inginocchiatevi. Che vi guardate voi dirieto? Tenete su questa candela come voi l’avete a tenere. Voi mi parete balordo. Che non badate voi a quel ch’avete a fare?

Aridosio. E s’io ho paura?

Ser Iacopo. A questo non è rimedio. Dite il Paternoster e l’Avemaria: che io comincio a scongiurare.

Aridosio. Ave Maria....

Ser Iacopo. Ditela piano, che non mi diate noia.

Aridosio. E’ non mi sentiranno.

Ser Iacopo. Basta che sentin me. «Hanc tua Penelope lento tibi mittit Ulixes. Nit mihi rescribas; attamen ipse veni».

Aridosio. Parlate in vulgare, che non vi debbono intendere in latino.

Ser Iacopo. Sará meglio. Oh di casa! oh spiriti maladetti! V vi comando da parte d’Aridosio che voi usciate di costá.

Aridosio. Dite pur «da vostra».

Ser Iacopo. Badate a dire l’Avemaria e lasciate scongiurare a me. I’ vi comando da parte mia, che son prete, che voi usciate di costi.

(Fanno romore).

Aridosio. Non piú, non piú, ser Iacopo.

Ser Iacopo. O voi volete che n’eschino o no. A quest’altro scongiuro li caccio via. I’ vi comando da parte di santo Giusto che voi vi partiate di cotesta casa.

Lucido. Noi non ci vogliam partire.

Ser Iacopo. Ve’ che rispondesti!

Aridosio. E’ mi si raccapriccion tutti i capelli.

Ser Iacopo. Cotesta candela sará prima logora che noi abbiam finita l’opera. Tenetela su. Io vi comando, spiriti, da parte del medesimo, che mi dichiate per quel che voi siate entrati qua drento.

Lucido. Per la miseria d’Aridosio.