Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/177

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atto terzo 165


Ser Iacopo. Chiamogli io?

Aridosio. Fate voi.

Ser Iacopo. Spiriti, noi siam contenti che voi caviate l’anel a Aridosio: promettendoci, sopra la fede vostra, di rifare tutti e’ danni che costá drento voi avessi fatti.

Lucido. Cosí promettiamo.

Ser Iacopo. Venite, addunque, via; ma non gli fate né male né paura. Non vi discostate, Aridosio, e non abbiate paura, che io son con voi. Dite pure il Qui habitat e state di buona voglia. Spirito, cava presto e vatti con Dio.

Aridosio. Io ho paura che noi non facciam come ’l Gonnella.

Ser Iacopo. Voi pensate assai ragionevolmente. State sopra di voi ed andiamo in casa a ribenedirla con quest’acqua. Ma non vi levate la berretta dagli occhi; che ei son ancor qui intorno.

Aridosio. Dite loro che se ne vadino affatto.

Ser Iacopo. Se n’andranno bene. Venite pur in casa.

Aridosio. Menatemi, che io non percuota in qualcosa.

Ser Iacopo. Venitemi drieto.

SCENA III

Lucido, Tiberio e Livia.

Lucido. Che vi feci?

Tiberio. Quello che io non pensai mai. Se tu sapessi el dispiacere ch’io avevo quando io sentivo la voce d’Aridosio! Avevo quasi piú paura di lui che lui di noi. Mi tremavano le ginocchia, che io non potevo star ritto.

Lucido. Gran disgrazia, la tua, che non stessi ritto!

Tiberio. Adesso si che mi piace el burlare! Ma allora t’imprometto che non avevo voglia.

Lucido. E avevi paura, quando Lucido era presente?

Tiberio. Quest’era quanto conforto io avevo.