Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/201

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atto quarto 189


Briga. Signore, io ho ritrovato la casa. È qui apresso.

Messer Alfonso. È un miracolo! E lui è in casa?

Briga. Èvvi; e vi aspetta.

Messer Alfonso. Andiamo, adunque.

SCENA VII

Mona Pasqua Marcantonio.

Mona Pasqua. Io vo’ lassar andar via coloro. Oh! Erminio impazzerá dell’allegrezza, d’aver avuto si bel figliuolo. E le monache mi dicono che ei l’ara per male! Io non l’intendo; e non so s’io me li domando la mancia. Che può nuocer il domandare? Perché non ha egli aver caro d’avere un figlioloccio bello a quel modo? Ei l’ha pur fatto lui. Oh! Egli è d’una monaca! E’ si sia. Io credo che le mi dichin a quel modo per invidia. E fanno un ronzio, un cicalio per quel convento che paion uno sciame di pecchie quando ei gitta. Ma la priora è piú indiavolata che l’altre e dice che vuol fare scomunicare e maladire... Io non credo giá ch’ella possa far che suor Fiammetta non abbi fatto un bambino. L’altre cose son baie. Ma che indugio d’andarlo a dire a Erminio? Ecco appunto di qua Marcantonio. Io non so s’io gne ne debbo dire.

Marcantonio. Quella mi par mona Pasqua.

Mona Pasqua. Ma le mi disson ch’io non lo dicessi se non a Erminio.

Marcantonio. Mona Pasqua!

Mona Pasqua. Che fare? A saper l’ha.

Marcantonio. Siate sorda?

Mona Pasqua. Oh! Io ve lo dirò poi.

Marcantonio. E che mi dirai?

Mona Pasqua. Che Erminio...

Marcantonio. C’ha fatto Erminio?

Mona Pasqua. ... ha avuto...

Marcantonio. Che cosa?

Mona Pasqua. ... un figliuolo.