Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/222

Da Wikisource.
210 il ragazzo


Valerio. Volete che io parli piú corretto?

Messer Cesare. Tu fosti sempre scorretto per insino da fanciullo.

Valerio. Tutti gli innamorati son pazzi; e i vecchi molto piú.

Messer Cesare. Sai tu come egli è? Ti cacciarò alle forche.

Valerio. I ladri meritano le forche, non il vostro fedel servitore.

Messer Cesare. La tua lingua ti fará venir peggio, ribaldo presentuoso che tu sei!

Valerio. Padrone, ben so io che oggi chi non è adulatore è tenuto arrogante e tristo. Ma io amo meglio l’onore e ’l ben vostro senza la grazia che la grazia con la vergogna e col danno. Forse che, a qualche tempo, imparerete a conoscermi.

Messer Cesare. Costui è divenuto filosofo.

Valerio. Io vi dico, padrone, né restarò di dirlo per minacce, che a un vecchio, e come séte voi, non si convengono gli amori.

Messer Cesare. Ah! ah! Il mio maestro!

Valerio. Ve ne ridete e dovereste piangere, considerando che séte in etá di sessanta anni e avete moglie assai fresca donna, un figliuolo d’anni diciotto e una figliuola giá da marito: la quale... Ma non voglio dir piú avanti.

Messer Cesare. Non metter la lingua nel mio onore, che, per Dio, te ne pentirai.

Valerio. Bella cosa che s’abbia a dir per Roma...!

Messer Cesare. Taci, se non che mi farai divenir teco pazzo da vero. Valerio. Chi potrebbe tacer che la figliuola del piú ricco gentiluomo...

Messer Cesare. Orsú! Lo voglio dire io. Una di queste sere, essendo in camera di mia figliuola, sentii percuoter non so che su la finestra; e, guardando ciò che poteva esser quello, vi trovai una lettera, legata insieme con certa pietricella, la quale mostra che un certo Carlo spagnuolo cortigiano di Santa Croce abbia scritta a Camilla mia. È egli si gran fatto, questo?