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218 | il ragazzo |
Valerio. Che importa?
Flamminio. Non sai quanto importa per me; e per te ancora, che, se mio padre vorrá desinare, chi gli attenderá, non vi essendo tu?
Valerio. Non c’è la Caterina? E poi egli è in corruccio meco perché pur ora lo riprendeva di questo amore.
Flamminio. Ecco il mio maestro. Io, per me, non lo voglio aspettare.
Valerio. Aspetta, di grazia: che aremo, un pezzo, materia di ridere.
SCENA V
Pedante, Valerio, Flamminio.
Pedante. Heus, Flamini!
Valerio. Piú forte, che egli non v’intende. Alzate la voce.
Pedante. Sono aliquantulum rauco, hodie. Heus! ah! A chi dico io?
Flamminio. O maestro, siete voi? Il buon giorno.
Valerio. Quella riverenza vai piú che non vale egli e tutte le sue lettere.
Pedante. Bona dies de curia.
Valerio. Galante!
Pedante. Adesdum. Paucis te volo.
Valerio. Se i pesci volano, gli uccelli nuotano.
Pedante. Quid? Costui ha il cerebro ottuso; non m’intende.
Flamminio. Domine la Vostra Eccellenzia mi perdoni perché ora convien ch’io vada in Campo di fiore per cosa che molto importa: onde non posso esser con voi.
Valerio. Come sarebbe a dire, «in quella parte dove amor mi tira».
Flamminio. Piano, in nome del diavolo!
Pedante. Che va balbutando quel servus servorum fra i denti?
Valerio. Io mastico avemarie.