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228 il ragazzo


Giacchetto. Cosí è. Come vi sta il cuore?

Spagnuolo. Tiriamoci qui dietro per intender ciò che egli dice: che sempre parla, quando è solo. Poi mostrarò di giungere d’improviso.

SCENA II

Ciacco solo, cantando.

                    Donne mie, s’è alcun che crede
               che l’amor sia virtute,
               va per torto camino e poco vede.
                    Sapete voi qual è nostra salute
               e ne fa eguali a Dio?
               L’esser contenti d’ogni suo desio:
                    quel che non ha né vi può dar Amore,
               empio tiranno che n’ancide il core;
               ma tutto è don di Bacco e di colei
               senza cui voi ed io ne morirei.
               Viver pien di dolcezza,
               piú sa chi piú t’apprezza.

Non sono io buon poeta? Si, sono, per Dio. Senza ch’io m’abbia beccato il cervello in lettere, io la ’mpatterei al Bembo ch’è, non pur poeta, ma cardinale. Ma rime a sua posta. Oh come ho ben desinato oggi! come bevuto da vantaggio! come bene empiuta la borsa! Dicono poi certi uomini che Amore non fa miracoli. Egli ha pure saputo metter la cortesia dove non fu mai se non estrema avarizia. Dico, in messer Cesare, che, per amore, diventa limosinano, credendo, per mio mezzo, di goder Livia; la quale dee esser moglie del figliuolo. E cosí lo sciocco è diventato pazzo che tien per fermo di goder la giovane, questa notte, quasi che ella fosse una di quelle di ponte Sisto, senza averle mandato pur lettera o imbasciata alcuna. Io, non potendo fare altro, gli ho promesso il tutto e intendo di fargli una burla di sorte che se ne dirá per tutta Roma. Ma ecco il gentiluomo spagnuolo; ecco lo assassinato d’amore. Io lo voglio straziare alquanto.