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282 il ragazzo


Messer Cesare. Per insino a voi è nota una parte delle mie miserie?

Pedante. Come? Tutte; che iam rumor est.

Messer Cesare. È possibile che cosí tosto sia sparso il íbrido di questo fatto per Roma?

Pedante. « Fama mali vel malum quo non velocius ullum mobilitate viget, etc.», il divino Marone nel quarto della Eneida. Quamquam, questa sará una salubre opera, come vi dirò appresso. Verum voi devete saper che Deus et natura nihil agunt frustra; e non si muove, in questa machina mondiale, fronda d’arboro che non sia hoc di voler del trino et uno qui habitat in coelis. Et, se in tutte le cose, come non si può negare, egli mette la sua mano, quanto maggiormente è da creder che esso la metta nel matrimonio il quale, e nella Scrittura vecchia e nella nuova, expresse et approbò? Ornino in questo luogo le exposizioni d’Augustino, non parlo di Ieronimo, trapasso tanti sacrosanti teologi; e, per approbazione di ciò che io vi parlo, v’appongo e prepongo dinanzi gli occhi, come limpido e chiaro speculo, questo exempio solamente. Il quale è che Dominus Deus, mentre calcava questo fetido terreno sotto il velo della uma/iitá...

Messer Cesare. Troppo lunga diceria ha incominciato costui.

Pedante. ... il primo miracolo che egli volse dimostrare si fu alle nozze, quando fece di acqua vino.

Messer Cesare. Lontano conforto a’ miei dolori. Che prò è a me ch’egli facesse d’acqua vino?

Pedante. Piano! Audite. Hinc est che, questa notte, ha permesso Sua Celsitudine che avènissero gli scandali che avenuti sono non propter aliud che affine che ne derivasse il bene del matrimonio tra Flamminio e Livia e tra Camilla e il gentiluomo del cardinale.

Messer Cesare. Poteva Domenedio concedermi che io avessi maritato l’uno e l’altra piú degnamente e in piú nobile e ricco parentado; e sarebbene uscito il bene del matrimonio né piú né meno.

Pedante. Non oportet che la caliginosa ignoranzia dell’uomo abbia a imponer legge alla divina sapienzia. Ideo la suprema