Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/301

Da Wikisource.

atto quinto 289


Pedante. Vada esso prima.

Messer Cesare. Non voglio essere ostinato.

Pedante. Noi ambulemus una.

Messer Lucio. Orsú, adunque, tiratevi dal lato destro.

Pedante. Adsit laetitiae Bacchus dator et bona Iuno.

Messer Lucio. Si, si. Sguainate, caminando, qualche bel modo.

SCENA IV

Caterina sola.

«Chi pecca e menda salvo est», soleva dire la buona memoria di frate Mariano. Io non vorrei che qualche diavolo mi facesse capitare in mano del barigello. Per ciò ho io fatto pensiero di tornarmi con gli argenti a casa. Ho sentito buccinar non so che per istrada, che si fa festa in casa del cardinale e che mio padrone ha perdonato a tutti. Perdonerá anco a me. Direbbe uno: — Chi te l’ha detto, Caterina? — Basta che io l’ho inteso; e m’appiatai in luogo dove ho veduto passar tutta la compagnia ad uno ad uno. Erano piú di quatordici. E, fra gli altri, ho veduta Camilla in vesta di velluto chermesi, con cuffia in testa d’oro, con perle e tante gioie d’intorno al collo, che pareva la imperadrice. Buon prò le faccia. Doverá ella avere obligo a me; che, se io non era d’accordo seco, a bell’agio arebbe potuto andarsi col drudo! Maffé si. Ma è legno o pietra quella cosa che sta cosí ritta dinanzi alla porta del mio padrone? Ei pare una statua. Uh! uh! uh! Non è egli Ciacco?

SCENA V

Ciacco, Caterina, Giacchetto.

Ciacco. Madonna, che è quello che hai nel grembo? Tu avevi trafurati gli argenti, è vero?

Caterina. Messere, non me lo avevi consigliato tu?

Ciacco. Consigliato io? Non dir cosi, che mi faresti Commedie del Cinquecento - 11. 19