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Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/32

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20 l’amor costante

giá dodici anni ch’io son ribello della patria mia, di trovare qualche persona alla quale potesse liberamente scoprire il mio segreto; né ho trovato, per fino a qui, a chi io abbia avuto ardire di palesarlo perché dove ne va la vita importa troppo. Ma, essendomi ora venuta questa occasione che maestro Guicciardo va a Roma fra tre giorni, dove agevolmente potrebbe saper nuove del mio dolce figliuolo Ioandoro, e sapendo io quanto maestro Guicciardo mi sia amico, ho fatto pensiero di scoprirmi in tutto a lui e raccomandarmegli. E, a questo effetto, son uscito fuora si a buon’ora per trovarlo innanzi che gli *esca di casa e fare uno viaggio a due effetti; che ho da fare un buono officio con esso per messer Ligdonio Caraffi il quale vorrebbe la sua figlia per moglie. Sará buono ch’io non tardi piú. Ma ecco lo Sguazza. Credo saper quel che vuole; ma e’ s’aggira.

SCENA VI

Lo Sguazza parasito e Guglielmo.

Sguazza. Olá! Donne, voltatevi a me. Ditemi un poco: Gugliemo è uscito di casa? è uscito qui Guglielmo?

Guglielmo. Dissi ben io: e’ cerca di me. Che ci è, Sguazza galante?

Sguazza. Eccol, per Dio. Oh! Messer signor Guglielmo, Dio vi dia il buon di e ’l bon anno, la buona pasqua, quaranta milioni di ducati e trenta anni vi levi da dosso. Ah! ah! ah! el mio messer Guglielmo.

Guglielmo. Tu sei molto allegro, Sguazza. Debbi aver fatto collazione, ah?

Sguazza. Eh! Non mi vedete mai ridere a digiuno, me. E poi è ora questa da non avere bevuto due colparelli, che ha piú d’un’ora che si levò il sole?

Guglielmo. Dove vai?

Sguazza. Venivo a trovar voi perché, se voi volete, messer Guglielmo, mi potete far imperadore.