Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/328

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316 i bernardi

          Gianni.  E per che conto usa ei fingere
          esser un altro?
          Alamanno.  Tel dirò. E’ dubita
          non esser amazzato; e’ ha grandissima
          taglia dietro, per ciò che a un omicidio
          si trovò d’un de’ primi di Cicilia.
          E ’n questo stato stará fin che piaccia
          a Dio: che so che tuttavia si pratica,
          per mezzo d’un suo amico, di levargliela
          e di rimetterlo, un di, nella patria;
          dove soleva aver anco una rendita
          di secento fiorin, di cui ha perdita
          fatta, e riaver forse potrebbela.
          Gianni.  Or dich’i’ ben che gli ha ragion da vendere
          a far a questo mo’. Ma perché domine
          si chiama e’ piú Bernardo che Girolamo
          o Matteo o altro nome? e perché Spinola
          piú presto che Rosaio?
          Alamanno.  Oh! oh! Dirottelo.
          Gli ha preso questo nome, che gli ha in Genova
          un grand ’amico che cosí si nomina.
          Gianni.  Come?
          Alamanno.  Non odi tu? Bernardo Spinola,
          che fu figliuol d’un mercante di credito
          grande. E questo è quello che procaccia
          di levargli la taglia e nella patria
          ridurlo.
          Gianni.  Ben.
          Alamanno.  Or io in questo termine
          mi truovo. Quando gli avea la Lucrezia
          giá in pugno, e’ s’è partito; che giá lettere
          gli aveva scritto ed ella esser prontissima
          a compiacergli gli rispose, in caso
          ch’e’ la pigliassi per sposa legittima.
          E di tutto è la fante consapevole.
          Gianni.  Ben, be’, la cosa è molto in lá.