Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/369

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atto terzo 357

          questo bel cero, è innamorato; e pregami
          ch’i’gne ne faccia aver. E giá sviatola
          ho in tal modo che staman promessomi
          ha venirsene fuor, mentre si desina.
          E farallo da ver, perché la povera
          figliuola non ha qui persona e, dove
          la è, è fante; ed altro non desidera
          ch’uscir di quella casa: benché, nobile
          dice essere e che venne di Cicilia.
          I’ la vo’ dar a costui in cambio
          della sua innamorata. E son certissima,
          ancor che con lei stia, che per conoscerla
          non è: massimamente ch’i’ vo’ ch’Albizo
          suo amante mi porti quella propria
          cotta di ciambellotto che, domenica,
          aveva la sorella; che si piccolo
          fu ’l tempo che la vide che i’ penso
          che piú non la raffiguri. Ed il cambio
          non sará giá peggior; né ’l saprá Albizo
          mai, tanto la saprò far netta. Oh! Eccolo
          di qua, col servidor. Colla medesima
          ésca voglio pigliar oggi dua tortore.

SCENA IV

Albizo, Bolognino, Aldabella.

          Albizo.  Tutto gli ho detto. Ed ella anco promessomi
          ha, e al fermo; in caso pur che dieseli
          la sua mercede.
          Bolognino.  Credol. Senza premio
          non si direbbe un paternostro. Vedila
          lá, che viene alla volta nostra. Andiamole
          incontro.
          Albizo.  Andiam. A Dio piaccia che l’abbia,
          com’è l’usanza sua, fatta buon’opera.