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Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/37

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spagnuolo e prologo 25


SCENA IX

Messer Giannino solo.

Or sei chiaro, misero Giannino; or ti puoi quasi risolvere che la colpa è di questa crudele. Ah misero, sfortunato me! Che via posso imaginare per farli credere el mal mio? che d’ogni cosa è cagione ch’ella noi crede, perché, conoscendolo, è cosa impossibilissima ch’ella non se ne movesse a compassione. Ma come farò io a mostrarglielo? E pur so io in me che gli è cosí. Io so pur ch’io l’amo quanto amar si possa giá mai. Io so pur che non è rimasto altro pensier in me che di servirla e adorarla con quella nettezza di fede che per me sia possibile, tener sempre spogliato l’animo dell’amor di ogni altra donna, aver fermo proposito, o bene o male ch’ella mi faccia, che tanto duri in me l’amor di lei quanto la vita, esser sempre diffensor dell’onor suo, non pensar mai cosa che le dispiaccia, spendere tutti quegli anni che mi restano per amor suo, con tanta fermezza che in rarissimi si troverebbe. Tutte queste cose io so’ pur certo che sono in me; e non gli posso far creder che gli è cosi. Aimè! che grave passione è questa! avere il male certo e non trovar modo d’essere creduto! E di questo sète cagione voi, falsi innamorati, i quali sapete cosí ben fingere le passioni d’amore che molte donne, credendovi, ne sono rimaste ingannate; e da questo essempio, non avendo l’altre ardire di fidarsi d’alcuno, diventano crudelissime ed ingrate. Ah Dio! Per un poco di vostro piacere che avete d’ingannare una donna, di quanto male sète cagione a quegli che amano veramente! dei quali sono io uno. Ma chi è questa che viene cosí in furia inverso me? Gli è Agnoletta che penso che mi cerchi. Mi mancava testé quest’altro fastidio! Bisognará ch’io me la levi, un tratto, dinanzi con qualche scherzo, ch’ella m’intenda per sempre; che non è mai giorno che, una volta, se non due, ella non mi venga a replicare il medesimo.