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atto quinto 413

          a quella di Fazio. Che dite d’uscio
          di casa vostra?
          Cambio.  Si, tristo malvagio!
          L’uscio. Lo vo’ saper, se non ch’un occhio
          ti caverò colle mie man. Sii! Dimelo,
          dico. Di’ su!
          Giulio.  Istate a dietro, Cambio;
          ch’i’ non arò rispetto allo esser vecchio.
          Cambio.  I’ non ti parrò mica vecchio. Dimelo,
          ladroncello!
          Giulio.  Che v’ho io a dir, Cambio?
          Cambio.  Chi t’ha aperto quell’uscio, ove serratoti
          avea? Dimelo, su!
          Giulio.  Lasciam la collera
          un po’, di grazia. I’ vi voglio rispondere
          a ciò che domandate. Be’, che uscio
          è quel ch’è stato aperto?
          Cambio.  Si! Fa’ el semplice,
          brutto ribaldo!
          Giulio.  Pur montate in collera.
          Cambio.  Ve’ dove son condotto! Anco mi strazia,
          questo gaglioffo! Ma la s’ha a decidere
          altrove. Vo’ veder se è ragionevole,
          che un tuo pari sia uom di tant’animo
          che m’entri in casa ed ogni vituperio
          pensi di far.
          Giulio.  Che di’ «far vituperio»?
          Cambio.  Bernardo, Bernardo, s’i’non mi vendico,
          mie’ danno!
          Giulio.  Cambio, i’ non v’ho fatto ingiuria,
          ch’i’ sappia; ch’i’ torn’or da Roma.
          Cambio.  Somelo,
          come te, quando tornasti.
          Giulio.  Io dubito
          non m’abbiate con altri còlto in cambio.
          Cambio.  Si, ch’i’ non ti conosco, ladro publico!