Pagina:AA. VV. – Fiore di leggende, Cantari antichi, 1914 – BEIC 1818672.djvu/216

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E, riguardando, vede dalla lunge
il palazzo reai dello re Artú,
e forte degli sproni il destrier punge,
tanto ch’a quella porta giunto fu;
e, siccome alla porta mastra giunge,
mostrò il guanto e fu lasciato ire su
da dodici guardian, che disson: — Passa,
ché la tua vita sará molto bassa! —
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Signor, sappiate che secento braccia
aveva di lunghezza quel palazzo,
e d’ariento avea ’l tetto e la faccia
e dentro d’oro le mura e lo spazzo,
iscala c panca v’ha, che ciascun saccia,
ch’eran d’avorio, intagliate a sollazzo
e sonvi d’oro altri sette iscaglioni.
Sedevi re Artú con suo’ baroni.
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E Bruto arditamente per la scala
montò, pensando di tal novitade;
e, quando giunse in su la mastra sala
e vide il re con tanta nobiltade,
con riverenza inginocchiando cala
e salutollo con benignitade.
E re Artú gli rendè suo saluto,
benché ma’ piú no’ lo avesse veduto.
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— Perché venisti a meco, in questa corte?
disse un di que’ baroni in corte. Piano
rispuose Bruto con parole accorte:
— Venuto son per Io sparvier sovrano. —
Disse ’l baron: — Per cosi fatta sorte,
credo che tu snra’ venuto invano !
Onde ti move ardir di cheder dono,
che piú di miile giá morti ne sono? —