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Poi riguardava intorno gli arbucegli
e i lauri e le frondi, e ’1 bel cantare
che vi facevan sú diversi uccegli :
questo il facea piú forte lacrimare;
vedeva e’ prati rilucenti e begli,
e’fiori in qualche luogo rosseggiare:
qual era azzurro o verde o giallo o bianco,
onde e’ sospira e per dolor vien manco,
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e dice: — Lasso! qual fia ’1 mio ricovero
e ’1 bel palazzo? Fia l’ombra d’un acero
o d’un albero, un faggio, un mirto o un rovero?
Domo d’amore e stracco e vinto e macero,
di ben privato, e d’ogni speme povero:
e ’l corpo, stanco ornai, fragile e lacero,
el suo riposo nell’urna disidera,
e vola, giace, triema, arde ed assidera.
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Per grotte, selve, boschi, monti e piani
e fiumi ed acqua e terra e rena e sassi,
poggi, piagge, padul, burron, pantani,
balze, campi, caverne, scogli e massi,
luoghi diserti, ombrosi, alpestri e strani,
sugher, castagni, querce, aceri, e a passi
strani e scuri, n’andrò pensoso e vinto,
come in esilio cacciato e sospinto.
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Oh lasso! che farai? che pensi o guardi?
Oh lasso! el tempo ove è tanto felice?
Oh lasso piú ch’altrui, che triemi ed ardi!
Oh lasso ! oh infortunato ! oh infelice !
Oh lasso! ch’ogni ben verrebbe tardi.
Oh lasso! presto andrò nell’ombre e’n Stice.
Oh lasso! ove vedrò la bella fronte?
Oh lasso! forse al fiume d’Acheronte.