Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
vii - cecco angiolieri | 105 |
LXXXIV
Quello, che fa, quando i denari gli vengon meno e quando po' ne trova degli altri.
In una ch’e danar mi danno meno,
anco che pochi me n’entrano ’n mano,
son come vin, ch’è du’part’acqua, leno,
4e son piú vil, che non fu prò’ Tristano;
e ’nfra le genti vo col capo ’n seno,
piú vergognoso, ch’un can foretano;
e per averne di e notte peno,
8ciò è in modo, che non sia villano.
E si avvien talor, per avventura,
ch’alquanti me ne vegnon uncicati;
11de’ quali fo si gran manicatura,
ch’anzi ch’i’gli abbia son quasi lograti:
ché non mi piace ’l prestar ad usura
14a mo’ de’ preti e de’ ghiotton frati.
LXXXV
Come si comporta quatid’è senza quattrini.
Quando non ho denar, ogn’oni mi schiva
e non par che mi cognosca om del mondo;
a dir che canti o che soni la piva,
4niente mi vale senza lo ritondo;
ch’e’ non rimagna spesso su la riva,
neun mi leva, per lo grave pondo:
allor mi stringo corri’ in nave stiva,
8ed in la céra tutto mi nascondo.
E buffo forte e tro di gran sospiri,
e pasco di quelle di Mongibello,
11si coni’ el lupo, che non trova carne.
Tutto, che non mi paia bon né bello,
quel mi governa dove che mi giri:
14non ho altro ridotto, ove m’aitarne