Vai al contenuto

Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/229

Da Wikisource.

xx - messer niccolò del rosso 223

LII

Quali siano i mali, che guastano la sua cittá.

Agli altri mali de la nostra terra,
c’hanno deserta guelfi e ghibilini,
questo vi cumulano i cittadini:
4ch’onni di fanno ensieme nova guerra.
51 sdegno cum la envidia, che i afferra,
gli rende tanto miseri e topini,
che parlando detranno lor vicini;
8unde ferite e morte poi si sferra.
Ni pensano lo numer’di’ zentili,
ni quanta zente la cittade porta:
11ché sono tre pedoni e dui arfili.
Ma per la gran soperbia, che v’è orta,
zascun, ch’offende, piú se tien presato,
14che non fu Roma nel suo mazor stato.

LIII

Le passioni, che signoreggiano in Treviso.

Monna la Furia e monna la Violenza,
monna Incostanzia e monna la Socchezza
cum sua zente cavalcavano a frezza
4ver’la cittá vòita de provvidenza,
cridando: —Tosto a la terra, che, senza
vertude, di cattivitá si avvezza;
se nui pigliamo sopra lor baldezza,
8di botto avremo tutta la provénza. —
E, quando eo vitti queste, che venia
a zónzere afflizione agli afflitti,
11dissi: — Donne, vui fate villania! —
Et elle a me: — Va’, che sian maleditti
chi amano rasone, et anche tu! —
14E sprononno oltra, che non parlòn piú.