Che, mentre parte da l’erboso pasco,
Errando va per le deserte selve
Dal sanguinoso agitator de’ buoi
Estro battuta in simil guisa anch’essa
Punta da’ gravi colpi errando giva
Il modo a ricercar con cui la mensa
Turbasse de gli Dii; spesso balzando
Da la sedia di sasso in piè s’ergeva,
E poi sedea di nuovo: a terra stese
La mano, e pietra non trovò. Volea
Quindi sonoro fulmine di foco
Cavar (da le voragini terrestri
Risvegliando i Giganti) è il Ciel, soggiorno
Di Giove altipotente, arder col foco.
Ma benchè irata fosse, era pur anche
A Vulcano soggetta, e al Direttore
Del foco inestinguibile, e del ferro.
Lo strepito pensò gravisonante
De gli scudi eccitar, sicchè atterriti
Uscisser fuora a quel rumor gli Dii.
Ma nuovo inganno meditò, temendo
Il ferreo Marte, che lo scudo porta.
Ella si ricordò de gli aurei pomi
Allor d’Esperia; ed un presone in mano,
Che fu il germe primier poi de la guerra,
Sopra vi meditò le illustri gare.
Nel convito gittollo, onde sconvolse
Il coro de le Dee. Giunon superba
Per lo letto di Giove, e sua Consorte
Ammirando lo stava, e farne preda
Volea. Venere ancor, come più bella