Piú che di gemme orïental tesoro,
m’orna aspetto reale; ho su la fronte
corona di beltá vie piú che d’oro.
E ’l romano campion passa ogni monte,
varca ogni fiume e ’l mio reame assale
e desta a mie bellezze oltraggi ed onte;
mentre tu, seco unito al mio gran male,
vinci invitto il mio regno e m’incateni,
a me negli anni ed in bellezza eguale.
Allor, preso d’amor, che teco io meni
in nodo marital le notti e i giorni
brami, e le nebbie mie squarci e sereni.
Quinci, lassa (oh mie gravi ingiurie e scorni,
oh servili e durissimi legami
di cui vien che me stessa onori ed orni!)
fia ch’amante io ti segua e sposo io t’ami,
mentre leghi il mio sposo, il gran Siface,
e sconfitta mi vòi, vinta mi brami.
E lá dove il mio trono a terra giace,
l’alma al tuo amor sollevo e, fra gli ardori
di Bellona, d’Amor tratto la face;
e poss’io tra le morti e tra i furori,
con disprezzata man, fredda qual ghiaccio,
destar le Grazie e suscitar gli Amori;
anzi, mentre i miei fidi in stranio laccio
languiscon di dolor, d’amor poss’io
languirti in seno e tramortirti in braccio!
Ma che troppo il tuo volto è vago e pio;
piú che ’l valor, la tua beltá guerreggia
e vince i miei guerrieri e piú ’l cor mio.
Miro e piango i miei fasti e la mia reggia
e, di pianto amoroso ancor stillante,
la tua grazia in amor l’occhio vagheggia.
Erro, ma non ho schermo, egra e tremante;
donna tenera e molle or che far deve
giá preda e serva a vincitor amante?