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giuseppe battista 427

XXXVI

NEL PARTIR DA NAPOLI

durante i tumulti del 1647-48

     Degli oricalchi ai queruli clangori
schiva gli ozi notturni ancor Cleante,
e d’Elicona i popoli canori
fuga a barbaro ciel bronzo tonante.
     Io pur diparto, e cerco i miei ristori
della madre natia nel grembo amante.
Se non ebbe di me gli anni migliori,
vo’ che m’abbracci almen, vecchio anelante.
     Qui, tutti in Lete i miei pensieri immersi,
col nume di Permesso e di Libetro
darò lingua alla lira e metro ai versi.
     Felice me se dalle stelle impetro
che le mie luci chiuda ov’io le apersi,
che dov’ebbi la cuna abbia il feretro!

XXXVII

PASSANDO PER PUGLIA PIANA

     Ecco l’Aufido io bevo, e su le rive
a Cerere sacrate inganno il piede;
qui, per fuggir dall’inclemenze estive,
tede non hanno i campi, ombra le tede.
     Messaggiera di piogge aura non riede,
mentre un sole d’Egitto il dí prescrive;
d’anima, ch’è caduca, è l’erba erede,
e la vita prolissa il fior non vive.
     Ad Aconzio amator pomo da ramo
qui non sa partorir tronco infecondo,
dov’ei possa stampar: «Cidippe, io t’amo».
     Edificar dovea cielo secondo
Adamo qui, ché senza colpa Adamo
vedrebbe il cielo e senza morte il mondo.