Pagina:AA. VV. - Lirici marinisti.djvu/464

Da Wikisource.
458 lirici marinisti

     Trafiggeami un nemico, e noncurante
de le ferite mie feriva anch’io,
ed or questo mirava or quel sembiante
correr misto al suo sangue il sangue mio.
Cosí, senza mostrarmi unqua anelante,
sprezzai di piú d’un uom l’impeto rio;
anzi nel duol multiplicai fortezza,
sol pensando al valor di tua bellezza.
     — Di voi — diceva, — o sanguinosi acciari,
Lidia piú strugge, ovunque avvien che tocchi;
ella vibra di voi piú colpi amari,
se talora un suo strale avvien che scocchi;
siete pur troppo di ferirmi ignari,
o ferri, al paragon de’ suoi begli occhi,
poich’essi, archi inerrabili d’Amore,
scoccansi sempre ad impiagarmi il core. —
     Cosí ardeva la pugna, ed o che fosse
che i cori audaci ogni fortuna aiute,
o che fra squadre insanguinate e rosse
qui difesa dal ciel sia la virtute;
degli altrui ferri io non curai percosse,
quantunque altri dicean con note argute:
— Cadrá chi pugna sol; cadrá pugnando.
Che far potrá fra tanti brandi un brando? —
     Giá giá l’ira s’avanza e ’l furor cresce,
sí che pugnan per noi l’ira e ’l furore;
odio con odio si confonde e mesce,
altri aumenta lo sdegno, altri il rigore.
Ma giá fra tanto orror l’orror rincresce
e quasi è di pugnar lasso il valore;
cessa la zuffa, e fra lo stuolo essangue
verso pur io da piú ferite il sangue.
     Or se mai tu da queste luci i pianti
chiedesti allor che fido io t’adorai,
godendo sol ch’io mi stemprassi avanti
l’animato splendor de’ tuoi bei rai;