Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
marcello giovanetti | 89 |
Or mentre ei d’alta gioia il cor ricrea,
le sparse voci in verde pianta intaglia;
poi, con note che ruvide compose,
al gran prencipe estense il tutto espose.
XII
L’INONDAZIONE DEL TRONTO
A monsignor Vitello
Fra l’atra notte e ’l luminoso giorno
egualmente diviso era l’impero,
e spandea tanto l’ombra il manto nero
quanto splendea di raggi il sole intorno;
onde, se l’alba ai soliti lavori
destava l’uom su l’aure matutine,
il dolce sonno, con egual confine,
sopiva i sensi e raddolciva i cori;
con grati nodi agli olmi lor mariti
dolcemente stendean le braccia amiche
e discoprian per le colline apriche
lieti tesor le pampinose viti;
quando s’udio sul nubiloso velo,
presagio d’oscurissima tempesta,
mormorando con voce orrida infesta,
tuono bombar fra mille lampi in cielo;
s’udîro urtarsi in fera giostra i venti,
spinti da profondissime caverne;
fûr visti a gara poi da le superne
magioni in giú precipitar torrenti.
Mai non s’udí del ciel per le campagne,
cotanto imperversando, austro nimboso
scuotere il dorso a l’Apennin selvoso,
fracassar nubi e tempestar montagne.
Ma crescendo maggior l’impeto a l’onde,
e qual rauco fragor d’acque sonanti,
parea che l’etra a tanti flutti e tanti
picciole avesse e troppo anguste sponde.