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12 i - rustico filippi

XXII

Ecco un popolano avaro e ingordo, che s’industria come può

Al mio parer, Terriccio non è grave,
ma scarso il tegno ismisuratamente;
e ben cavalca de la man soave,
4quando d’avere utolitá ne sente.
E con tale usa, e vanno insieme ’n nave,
che boce glien’è corsa di mordente;
non so se ’l fa: ma ’l suo si serra a chiave,
8ch’él medesmo, che ’n tórre è si saccente,
non credo che del suo potesse avere;
ché’n questo è fermo il suo intendimento:
11del suo non dare, altrui tórre a podere.
E, se per rima fosse il suo lamento
de’ nuovi danni, che stima d’avere,
14sollazzi n’averemmo il giorno cento.

XXIII

La sciocca profezia di Cristofauo intorno alla fortuna di un buon padre,
che ha due figliuole da maritare...

Poi che guerito son de le mascelle,
io non rido, ancor eli’ i’ smanio e canto,
che si sconciar per rider di novelle,
4che mi contò Cristofan, dritto santo:
cui non bisogna colla e manovelle,
cosí le ti sciorina ad ogni canto;
e chi non si rallegrerá di quelle,
8in paradiso avrebbe doglie e pianto.
Oi Cion del Papa bene avventuralo,
lasciati andar di man de lo steriino;
11credi a Cristofan che non è donato!
Per Dio, soccorri quel gentil Bandino,
eli’e’sia, per te, di morte suscitato:
14e, ne le scritte, conte paladino.