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Pagina:Abba - Da Quarto al Volturno.djvu/137

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ltri d’alta ventura, che portavano l’aquila sveva sul pugno!

Pìgliati colla fantasia in quell’età una parte, guerriero, rimatore o fraticello, ed entra; ecco la Cattedrale famosa. Tant’è, s’ha bel disporsi, ma noi sentiamo che non si riesce a star nelle chiese come quella là, con animo che risponda. Disse un di noi: «Bisognerebbe non osar d’entrarvi calzati...». Fu tutta l’espressione della sua maraviglia! Un altro, quando ebbe guardato un poco attorno le colonne e laggiù il gran mosaico, si lasciò andar ginocchioni con gli occhi in su, facendo colle braccia e a mani giunte un arco sopra la testa, verso quelle volte; e l’atto gli parve preghiera.

E s’esce di là che uno si sentirebbe potente a far qualche cosa degna; ma no, quello che per capirci chiamiamo coda del diavolo, gli si ficca tra piedi. Noi, per esempio, appena fuori avemmo una mezza rissa.

Benedini da Mantova, nostro medico, tutta la via aveva brontolato che a Monreale ci andava di malavoglia, perchè sapeva esservi stato detto di noi, che siamo venuti a mangiarci l’isola, e che bisognerebbe sonarci le campane addosso.

E noi a dirgli: «Chetati, son cose da celia...» non ci sognando che cosa gli frullasse. Ma lui? In chiesa s’era stizzito di più; e uscendo, al primo che gli capitò di vedere con aria non di suo genio: «Sei tu che ci vuoi fare i vespri?».