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e di Meneghetti, dirette da Dezza e da Menotti e da altri ufficiali che in quel momento facevano da capi e da soldati.
«Intanto altri Bavaresi apparivano sulla vetta del monte Calvo e vi si piantavano, e si vedeva che volevano postarvi due cannoni da montagna, per coprir di granate e di mitraglia noi più bassi e da quella posizione spingere forse qualche colonna alle spalle di Bixio. Sarebbe bastata ben poca gente a tagliargli le comunicazioni col quartier generale di Caserta, e a portar l’incendio borbonico nella Terra di Lavoro. Era un momento angoscioso. Tutti, anche i meno esperti, indovinavano il gran pericolo.
«Ma ecco spuntare lassù un battaglione: Son nostri? — son nostri! — Improvviso, dritto, marcia verso il cocuzzolo di monte Calvo. Maraviglioso! Il Comandante si vedeva dinanzi a tutti, col berretto in cima alla spada, e pareva di sentirlo gridare; gli altri correvano dietro a lui, per quell’erta, a gran passi, serrati.
«Era Taddei!
«Quel fare, quell’affronto, impone ai Bavaresi che oscillano un momento, ma si difendono, resistono, uccidono: poi si rompono, abbandonano la posizione, i morti, i feriti e fuggono in rotta.
«Noi, combattendo giù, vedevamo e ammiravamo quei vincitori lassù, e guardavamo pure