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Pagina:Abba - Da Quarto al Volturno.djvu/260

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252 i carabinieri genovesi


dal covo, giù si lanciarono alla baionetta i Carahinieri, e dietro ad essi tutte le compagnie.

O gran giorno, o immortali quelle tre ore del combattimento! Ma se fosse stato perduto? Si accapriccia il cuore, immaginando Garibaldi vinto, i suoi a squadre, a gruppi, rotti, messi in caccia, uccisi per tutta quella terra da Calatafimi a Salemi, lontano, lontano; gli ultimi ad uno ad uno, chi qua chi là, scannati come fiere, fin sulle rive del mare; e la testa del generale mandata a Napoli, che la potesse vedere e finisse di tremare quel Re! Si raccapriccia. E forse l’Italia non si sarebbe fatta mai più.

Felici allora, ben felici si sarebbero potuti chiamare i trentun morti combattendo, che almeno non avrebbero vista la gran tragedia; trentuno, chè tanti furono su mille i caduti a Calatafimi, oltre a centottantadue feriti. E tra quei feriti ve ne erano dieci dei Carabinieri genovesi, e tra quei morti cinque di essi. Erano Belleno, Sartorio, Casaccia, Fasce e Profumo. Quindici caduti su quarantatre! Nè questo vuol dire che non sapessero combattere, guardarsi, risparmiarsi, studiar di cader il più tardi che si potesse nella battaglia. Anzi! Forse, come disse Garibaldi, non vi fu mai fatto d’armi combattuto da soldati più sapientemente di quelli. Ma senza descriverlo importa ricordare che a quei Carabinieri, alle loro carabine infallibili, si dovette