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Pagina:Abba - Da Quarto al Volturno.djvu/36

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9 maggio. Sera.

Non una vela sull’orizzonte. Oltrepassata l’isoletta del Giglio, cominciò una delizia di venticello che ristorava le vene. Il cielo è purissimo. Neppur più uno di quei tanti smerghi che ci seguivano, librandosi alti, precipitando fulminei a tuffarsi, quasi per farci festa. Vedemmo molti delfini balzare allegri sull’acqua e tenerci dietro un pezzo.

Fra poco sarà notte. Una voce armoniosa e robusta canta da poppa una canzone, che udiranno i nostri compagni del Piemonte. È il volo dell’anima alla donna del cuore. Adesso la canzone si muta in un coro di voci poderose... «Si vola d’un salto nel mondo di là!». Oh se fossimo presi in mare!

10 maggio.

Dall’alba fino ad ora fu un vero splendore. Si navigò che pareva di andare al trionfo tranquilli, colla pace del mare e col cielo che pareva nostro. Ma venne il momento dell’angoscia. Uno dei nostri si è gettato in mare. Si dice che sia lo stesso dell’altra volta. Dunque allora non è caduto per disgrazia? Quando il legno si fermò, vedevamo lontana la testa del naufrago, e misuravamo spasimando