Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/108

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CAPITOLO VI.



Tornato alla villa, il signor Fedele cominciò dall’assalire Bianca coi ragionamenti, e trovandola sempre uguale, la condannò a starsi tutto il giorno in una stanza appartata. Guai alla zia e alla sorella, se avessero tentato parlarle. Per maggior umiliazione la faceva venire a mensa all’ora dei pasti; ma la poneva a sedere in un angolo del desco senza tovaglia, e le stoviglie in cui le dava a mangiare, non erano quelle lucenti di stagno che usava per sè e per la famiglia, bensì certo piatto di terra scura, da mangiarvi dentro l’elemosina, tolto a prestito dalla cascinaia. E anche in quel tempo le avea vietato di aprir bocca. Sui volti delle altre due, si fecero in breve profondi i segni dell’animo afflitto; ma temendo di procacciare a Bianca maggiori mali, tacevano; ed essa per certo raggio degli occhi nuovo e soave, mostrava di crescere in forza a sopportare quei trattamenti, e si consolava pensando che per amor di Giuliano avrebbe patito anche più, se più fosse bisognato.

Così entrava il maggio, senza che la festevolezza della stagione, valesse a ricondurre in quella casa la pace e la gioia. Damigella Maria e Margherita, libere di starsi o di uscire a diporto, non movevano guari, per non godere quel che a Bianca era vietato; avrebbero volen-