Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/162

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duto torreggiare sopra una terricciuola della spiaggia, ricolse il fiato; diede un’occhiata alle campane e pianse, ma una lagrima sola; perchè i Francesi vincevano, e parevano risoluti quel giorno, a farla finita coi Sardi, cogli Alemanni, col diavolo se loro si fosse parato innanzi; e da prigioniero, sentiva di pericolare meno assai, che da libero colle turbe, pronte a far testa sul Settepani.

Sul qual monte, sebbene confuso, lo strepito delle artiglierie era giunto sino dal rompere dell’alba; e aveva riscossa la gente degli stormi, che rimase in ascolto stupefatta, come di cosa mai più sentita. Io mi figuro quelle turbe quali fossero, rammentando l’atto di tale che vidi curvo al cratere del Vesuvio, porgere l’orecchio ai boati, che s’odono prorompere da quelle profondità tenebrose.

Come furono certe che, essendo il mare tranquillo, quel mugghiamento non poteva essere che cannonate, s’accesero gli animi; e chi aveva schioppo si diede a rivedere la pietra, a rinfrescare la polvere nello scodellino, a contare le palle che teneva in serbo; e gli armati di falci, ch’erano i più, cominciarono a menare le coti, facendo uno stridore, che aveva qualcosa di barbarico insieme e di grande,

«Dove sono? gridavano — dove sono gli scomunicati? Vengano, vengano! A noi toccherà finirli!

«Ed io — giurava uno altamente — se non avrò falciate le gambe a mezza dozzina di quei basilischi, non tornerò più a casa...!

«Animo! — dicevano da tutte le parti molti che forse da giovani erano stati soldati; — mettiamoci in ordine; vogliamo darci dentro come a falciare il fieno! Sangue ha da essere! sangue da vedersi scorrere a rigagni!

«Ohè! e i signori...? Signori capi, che cosa fanno...? Si va innanzi? Si va innanzi? Si sta? Che staremo qui a grattarsi le ginocchia sino al dì del giudizio...? All’armi, da bravi!»