Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/248

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CAPITOLO XIII.



Sul vespro di quel giorno, mentre Giuliano cavalcando già vicino a D..., scopriva tra il verde del castello il campanile, che pareva un amico acquattato, per dar voce del suo ritorno; sul piazzale di casa sua sedevano alcune donne del vicinato, intente a rammendare camicie, a filare, a fare ognuna qualcosa, ascoltando i racconti di Marta. La quale, pigliate le mosse dai molti Alemanni giunti di quei giorni; parlava delle guerre degli Spagnuoli, venuti sul principio di quel secolo, pochi anni prima che essa nascesse, a devastare le valli della Bormida; dove erano passati come la maledizione di Dio. Dai racconti di guerra, era caduta in quelli della fame e della peste; e ne aveva sballate di quelle così grosse, che le povere contadine si pregavano di morire, piuttosto che star al mondo a vedere altrettanto. Una delle uditrici era Tecla, che alle parole della vecchia badava poco o punto. Perchè i suoi pensieri erano lontani di là molto: e vi avesse anche badato, la sua mente aveva fatto, in quei due mesi, così lungo cammino; che le cose strane dette da Marta, non potevano più nulla sull’anima sua. Si era in tutto mutata e tanto, da non si ravvisare a prima giunta; e a poco a poco aveva pigliato nei portamenti e nel viso, l’aspetto di fanciulla nata in istato migliore di quello, donde era uscita. La signora l’aveva sin da prin-