Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/302

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sgonfietti delle ascelle; e le smaniglie ai polsi, e il monile di gemme, mostravano come quella fanciulla sapesse d’essere bella, e quanto fosse venuta innanzi nella via delle vanità. I geni della innocente e timida adolescenza si erano tutti partiti da lei; e gli occhi e le labbra avevano già appreso l’arte dei sorrisi vezzosi. Che cosa erano quei capelli acconciati in falsi cirri, e impolverati come di donna invecchiata nei festini? E quel diadema scintillante in cima della fronte; e quella penna candida, che innestata alle trecce insieme al velo aereo diffuso sulle spalle, le ondeggiava superbamente sul capo? Colei dunque era Bianca?»

Giuliano arrossì; sentì dentro un rimescolamento, come se qualcosa vi si struggesse, qualcosa vi si ricomponesse; ma gli parve di aver più sciolto il respiro, e potè reggere a guardare quella donna a lungo.

Il signor Fedele, che aveva visto il giovane apparire sulla soglia improvviso, mentre che egli era lungi cent’anni dal pensarvi; tremò che fosse per accadere del torbido: e date di qua di là colla mente parecchie capate, cercava modo di parare qualche gran colpo. Non trovò nulla di meglio che avvicinarsi ai musici, e accennare che suonassero con quella già incominciata l’ultima danza. Lo sposo di Bianca, sebbene fosse coll’animo in luogo sì alto, da non poter badare a tutte le cose che avvenivano; tuttavia vide il turbamento del suocero, e fattoglisi vicino a chiedergli che avesse, potè indovinare che l’apparizione del giovane forastiero gli metteva addosso la smania. Le occhiate che colui dava alla sua sposa, gli fecero corrugare la fronte, e fu lì per andargli a domandare che cosa avesse a vedere in quella signora; ma appunto allora i musici mutarono la gavotta in una monferrina rapida e clamorosa, che doveva metter fine alla festa.

La monferrina era stimata per quei tempi una danza forastiera e di gala; ma qualunque si fosse all’ultima suonata, si soleva mutarla in una ridda, nella quale tutti