Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/304

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dre, amor mio, tu hai detto il vero; questi sono luoghi da fuggirli per sempre!»

Così dicendo si mosse; e Rocco dietro di lui, andava non più come un servitore devoto, ma come uomo messo a guardia d’un infelice, cui stesse per dar volta il cervello. Credeva che il signorino si avviasse per uscire dal borgo, ma stupì vedendolo pigliare per un vicolo che menava proprio nel mezzo di questo. E tuttavia non osò dirgli che forse sbagliava la via. Giuliano non la sbagliava punto; ma camminava diritto per andare in casa a Don Marco, dirgli addio, forse parlargli di quel che aveva visto, e averne conforto di quelle parole di cui soltanto il buon prete conosceva il segreto. Giunto a quella porta, agguantò il martello e fu lì per battere; ma si sentì rimordere di venire a destare un vecchio a quell’ora, e non lo fece. Intanto gli fuggì un’occhiata in su alla casa del signor Fedele, ch’era di contro; e vide illuminarsi la finestra di Bianca, quella finestra ch’egli non aveva mai osato di varcare colla fantasia, dalla tema d’offendere la fanciulla che vi dormiva dentro. Ed ora...? Ebbe uno schianto di cuore non mai provato; mai neanche quando aveva inteso che Bianca s’era sposata: lasciò il martello, e senza dir nulla, ripigliò la via per allontanarsi. E a questa volta uscì davvero dal borgo, e sarebbe andato innanzi chi sa quanto muto; se Rocco mosso da grande curiosità, non gli fosse entrato della via che voleva tenere, e a poco a poco anche del padrone di quella casa, cui aveva voluto battere poco prima. A tutte le dimande del colono, Giuliano rispondeva breve come chi ha altro da pensare; ma a quest’ultima il suo cuore si aperse, e quasi provando un gran sollievo a pronunciare il nome di cui Rocco chiedeva, rispose:

«Oh... quella è la casa d’un giusto... è la casa di Don Marco...!

«Don Marco! Lo conosco, è un santo che ha fatto tanto bene alla mia Tecla.