Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/160

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112 Capitolo sesto.

cento colori, qualche anitra e oca. Tutto però piuttosto raro; si direbbe che l’epidemia si è estesa anche a questi, od almeno ha consigliato loro aure più pure.

Fra gli oggetti che ci vanno portando per vendere, è curioso un bracciale d’argento dorato lavorato a filograna, alto circa quindici centimetri, e due scarpe dalla punta acuta e curva, pure in argento e dello stesso lavoro. Il primo è un distintivo che il re in benemerenza dona ai suoi generali, e se ne servono nei giorni di gran battaglia; le seconde sono usate dalle donne nei grandi ricevimenti, ma invece di calzarle, che sarebbe troppo incomodo, si fanno tenere sulle mani tese di un servo che segue sempre la sua signora.

Uno dei nostri servi accusa un giorno forte mal di capo, e il vecchio Desta ci dà una prova della scienza chirurgica del paese. Seduto il paziente coi gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani tese sulle orecchie, lo strinsero al collo con un panno arrotolato: il Dulcamara, appoggiato un rasoio al fronte vi diede un colpo con un bastone, ed aperse così una ferita dalla quale sgorgò copioso il sangue: due altri intanto appoggiando le rispettive ginocchia al dorso dell’operato lo stringevano al collo quasi volessero strozzarlo. Defluita una certa dose di sangue si chiuse il taglio con cenere. Ripetuta, se necessario, l’operazione il giorno dopo, pretendono basti a salvare dall’incomodo male.