Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/168

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120 Capitolo settimo.


Il fascino del potere, l’ambizione, lo spirito di dominare, portarono pertanto parecchi di loro ad intraprese che tendevano a limitare i diritti dei sudditi, e questo diede luogo a delle continue lotte, delle quali sgraziatamente si è perduta la storia, e la sola memoria che ne resta è la pretesa che fra un tale caos di guerre intestine, la stirpe di Salomone si sia sempre conservata al potere.

L’imperatore era investito del potere militare, amministrativo, giudiziario e per forma più che altro, anche del religioso.

Come custode della Giustizia era assistito da un consiglio supremo composto di otto giudici, dei quali quattro, la cui nobiltà risaliva agli Ebrei, erano detti Licaonti, e quattro d’origine etiope, eran detti Azzagi. Il loro potere era ereditario, ma legato alla conferma del Re, come pure i loro decreti dovevano essere sanzionati dalla firma sovrana.

Portavano il costume sacerdotale, non avevano armi, dovevano seguir sempre l’imperatore, anche alla guerra.

Nel quarto secolo dell’èra nostra, l’imperatore regnante, unitamente a parte della sua famiglia, abbracciano il cristianesimo importatovi da Frumenzio, e questo fatto dà luogo a nuove guerre e rivolte, dividendo il popolo in due partiti accaniti l’uno contro l’altro, per fanatismo religioso. La nuova fede però si fa presto strada, e i rivoltosi sono costretti di rifugiarsi nelle montagne del Semien, dove continuano a professare il giudaismo e vengono distinti col nome di Felasian o esiliati, che si corruppe poi in quello di Felachas.

Verso il 530, come risulta da una iscrizione in marmo trovata in Axum, il re Caleb o Elesbaan, alleato all’imperatore Giustiniano, fece varie campagne in Arabia contro i Coreisciti e conquistò parte dell’Yemen, da dove dopo sessant’anni gli Abissinesi furono espulsi dai Persiani che li spinsero oltre il Mar Rosso e occuparono un tratto della costa Africana; ma la