Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/224

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156 Capitolo ottavo.


Così mi raccontava Naretti d’esser stato testimonio del seguente fatto avvenuto sulla piazza del mercato di Adua. Una donna aveva commessi delitti senza esempio e che sarebbe troppo lungo ripetere: si scavò una fossa, vi si seppellì la condannata, in posizione verticale, fino al petto, e i dettagli della freddezza con cui sopportò l’operazione, preparandosi alla tragica fine, sono cose da far rabbrividire, poi coram populo, con un grosso fucile le si diede l’ultimo colpo alla testa. Tutto il giorno stette così esposta, e la mattina dopo era ancora triste spettacolo, e per di più aveva una guancia rosa dalle jene nella notte.

E il pubblico assiste, si diverte, applaudisce a questi delitti ufficiali, e intanto pretende a dirsi cristiano.

Così le esecuzioni semplici del taglio della testa si fanno in luogo pubblico, come un duello fra un armato e un inerme, e spesso accade che fallendo almeno in parte il primo colpo, che le lame non sono delle più fine, nè delle più taglienti, si ha una vera lotta fra il carnefice e l’altro mezzo tagliuzzato, fra un circolo di curiosi.

Il venerdì 4 aprile corre la festa del Salvatore, per cui andiamo ad assistere alle grandi funzioni che si celebrano nella chiesa di questo nome.

Per vero dire il tintinnio dei turiboli e dei campanelli, il canto di una infinità di preti e inservienti, e il loro andirivieni continuo entro e fuori i diversi cerchi del santuario, mi hanno tanto sbalordito, che ben poco potei raccapezzare sull’ordine delle funzioni. Ho visto che si presentavano dei gran messali, in lingua del paese, ai preti che ne leggevano delle preghiere, rivolgendosi di quando in quando al pubblico in atto di benedire, ed ho ammirato alcune stupende e grandi croci in argento, dei bornus in seta azzurra: ricamati a colori e adorni di originalissimi ornamenti d’argento, portati dai sacerdoti: dei baldacchini in forma d’ombrello in stoffe damascate pure con ornati