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17. Le strategie processuali     155


pena e prevedendo un periodo di carcere (molto) limitato rispetto al possibile esito finale di un processo.

Si tratta di un punto focale, perché la paura di Aaron di finire in carcere – anche per poche settimane o mesi – e, soprattutto, di vedere la fedina pedale sporcata con accuse che gli avrebbero impedito, in futuro, una carriera politica, era altissima e lo condizionava.

Il giovane non aveva timore, soltanto, dell’idea del carcere in sé ma, anche, della conseguenza che un fatto di quel tipo avrebbe potuto avere sul suo futuro in politica o nelle istituzioni.

Questo è il motivo principale per cui tutti i colloqui tra accusa e difesa per un eventuale patteggiamento, durante il procedimento federale, non ebbero alcun esito, sia nel 2011 sia, soprattutto, nel 2012.

Al centro di questi dialoghi vi erano, probabilmente, i due aspetti essenziali che l’accusa metteva immediatamente sul piatto: Aaron si doveva dichiarare colpevole di (almeno) alcuni reati e doveva scontare una pena detentiva in carcere. Ammissione di colpevolezza, quindi, e periodo in carcere. Senza discussione. A questi due elementi l’accusa non voleva rinunciare.

La prima proposta di accordo in tal senso, proveniente all’ufficio del procuratore generale chiedeva, infatti, una dichiarazione esplicita di colpevolezza per un singolo capo d’accusa con una sentenza, suggerita, di tre mesi di reclusione, seguita da un rilascio sotto supervisione, le cui condizioni includevano un periodo in un centro di riabilitazione, un periodo di confinamento a casa e – cosa comune nei casi di crimini informatici – restrizioni specifiche sull’uso del computer durante il periodo di supervisione.

Nelle parole dell’avvocato di Aaron di quel periodo, Andrew Good, questa prima offerta di patteggiamento fu fatta dal procuratore capo prima della formulazione dell’accusa iniziale.

Ne seguì un’altra: Aaron Swartz si doveva dichiarare colpevole di un reato e avrebbe scontato 13 mesi di reclusione, un periodo di libertà vigilata sarebbe seguito alla detenzione e sarebbero state, infine, imposte restrizioni sull’uso del computer durante la libertà vigilata.

Tutte queste offerte preliminari furono rifiutate da Aaron e dalla sua difesa, compresa un’offerta di “soli” sei mesi di reclusione, che non venne nemmeno presa in considerazione.

Le trattative e le offerte del procuratore, però, continuarono anche nei mesi successivi.

In particolare, l’ufficio del procuratore offrì periodi di detenzione fino a sei mesi, che includevano restrizioni aggiuntive simili a quelle già discusse, e proposte di una “split sentence”, in base alla quale l’indagato avrebbe scontato prima un periodo di reclusione seguito, poi, da un periodo in comunità o in arresti domiciliari.