Pagina:Aggiustare il mondo - Aaron Swartz.pdf/77

Da Wikisource.

6. Non più (solo) un programmatore     77


In realtà, programmazione a parte, Aaron sente di avere dentro di sé, sin dall’infanzia, qualcosa che è profondamente legato alle tradizioni alla base del mondo hacker.

I termini che gli vengono in mente in questo momento di confusione – come fari nella nebbia o, in un’ottica più moderna, come hashtag – sono conoscenza, competenza e condivisione.

«L’unico modo per me, oggi, di vivere in maniera responsabile la mia vita» – annota sul suo blog – «è quello di sfruttare le mie conoscenze specifiche su tanti temi, concentrarmi su quelle e cercare di spiegarle in una maniera che sia la più semplice possibile a tutte le altre persone».

Voleva imparare sempre di più, quindi. Ma, soprattutto, voleva imparare tanto e bene per, poi, spiegare. Spiegare agli altri. Trasferire le sue competenze e la sua conoscenza a terzi.

Vedeva quel passaggio – e quello sforzo – come indispensabile per consentire a tutti coloro che avrebbero ricevuto in dono il suo patrimonio di conoscenza di svolgere nel modo migliore i loro compiti nella società, nella vita quotidiana e nel mondo.

E non vi sarebbe stato così più bisogno, rifletteva, che fosse solo lui a svolgere quei compiti direttamente, caricandosi addosso l’intero fardello di problemi della società moderna.

Non poteva – lo aveva finalmente compreso – farsi carico di tutte le cose che non andavano dell’intera società; non poteva “aggiustare il mondo” da solo.

«Spiegare idee complicate a tutti i cittadini» – scrisse – «è la cosa che amo di più. E nella quale mi sento particolarmente bravo, e portato».

Aaron decise, di conseguenza, di investire il suo tempo, per il resto della vita, a spiegare ciò che aveva imparato – o che andava, giorno dopo giorno, imparando – per far sì che sempre più persone potessero conoscere. Soprattutto, gli interessavano le nozioni più complicate, quelle più difficili da comprendere per il cittadino comune.

Il codice informatico sarebbe sempre stato presente nella sua vita, e avrebbe continuato a connotare il suo quotidiano, ma in un modo completamente diverso: aveva compreso, in quel momento della sua vita, che non voleva essere (solo) un programmatore.


Ormai, quando mi metto a leggere libri sulla programmazione – confessò – sono più tentato di snobbarli e di prenderli poco seriamente più che leggerli con attenzione fino in fondo. Quando mi reco a conferenze di sviluppatori e di programmatori, preferisco evitare le loro relazioni e trascorrere, invece, del tempo a parlare con le persone di politica, invece che di programmazione. Scrivere codice, anche se può essere piacevole, non è certo la cosa che voglio fare per tutta la vita.


Da quel momento in avanti, Aaron inizierà a lavorare più per le persone, la politica e la società che per il codice informatico in sé.