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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/102

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xxv
     S’e’ volesse pigliar per grazia e dono,
Come avete parlato, alcuna terra
Stata de i primi lor, contento sono,
Non per tema di quei nè d’altra guerra,
Ma per non infiammar nell’alto trono
L’ira di chi le nubi apre e riserra,
Poi che senza mia colpa un altro impuro
Ha fatto il nostro esercito spergiuro.
xxvi
     Allor ch’ebbe fornito, Gonebaldo,
Che de i feri Borgondi il fren reggea,
Del miser sangue ancor bagnato e caldo
De i tre propri fratei che morti avea,
Con furiosa voce altero e baldo
In favor di Clodin così dicea:
Scurisi il sol per me prima ch’io taccia
Ove a i nostri nemici si soggiaccia.
xxvii
     Non fia detto già mai che dove io sia
Si faccia a Clodoveo sì largo onore
Che alcun breve tributo si gli dia
Come a vero d’altrui sovran signore:
Perchè non mi condusse a questa via
Timor d’Arturo o d’altro duce amore,
Ma l’odio solo, onde non son mai stanco,
Che mi divora il cor nel seme Franco.
xxviii
     Non è questo terren sotto il governo
Del britannico re, com’altri crede,
Ma del rio Clodoveo, nemico eterno
Della nostra real borgonda sede,
Che per sommo di lei dannaggio e scherno,
E farsi d’essa violento erede,
Sposò Clotilda qual leale amico,
Del mio german figliuola Chilperico,
xxix
     Ch’io già con gli altri due del mondo tolsi,
L’infedele Odesillo e Gundemaro,
Che più tosto di lor la morte volsi
Che de’ figli e di noi l’esilio amaro:
E doppo lor tutto il veleno accolsi
In costui sol d’ogni mia doglia avaro
E ch’or per espugnar le vostre mura
Con quanti ave de’ suoi sempre procura;
xxx
     Come si vede ben, se tra i nemici
Di lui quattro figliuoi cingon la spada:
Non per vera pietà ch’ha degli amici,
Ma per voi dispogliar cercando strada.
E come alle native sue pendici
Ritorni Arturo, allor come gli aggrada
Farà dell’altro poi, che frali e lassi
Sarete, e d’ogni forza ignudi e cassi.
xxxi
     E quantunque non sembri, molto apporta
Solo il semplice nome di sovrano,
Che poi mille cagion si fanno scorta
Al tutto trarre alla rapace mano.
D’Arturo in tanto poi scemata o morta
La forza fia, ch’aspetterete in vano;
Ed ei, sempre crescendo, a poco a poco
Sopra voi, sopra me stenderà il foco.
xxxii
     Ma se pur vi parrà che ’l tempo sforze,
E de i vostri il mancare e del ciel tema,
Di sgombrar quindi le nemiche forze
Onde ’l popol vicin paventa e trema,
Sol del vostro terren l’ultime scorze
Si dènno offrir della provincia estrema,
Come or disse Clodino e pria Vagorre,
Ma quel titol sovran per sè riporre:
xxxiii
     Perchè negando in ver di fare offerta
A i nemici talor di cosa leve,
Parrìa forse ingiustizia troppo aperta
E ne cadrebbe in noi la colpa greve;
E la gente ch’ognor di vita incerta
Ha per esca la polve e ’l sudor beve
Avrìa credenza alfin ch’alcun di voi
Si prendesse a diletto i danni suoi.
xxxiv
     E se ciò refutar, sì com’io spero,
Dalla suparba gente oggi vedrasse,
Fia pur noto a ciascun che ’l nostro impero
Del dever dritto il termine non passe;
E dal Motor lassù che scerne il vero
Perch’innalzi i migliori e i pravi abbasse
Potrem con più ragion chiedere aita
Per questa afflitta patria sbigottita.
xxxv
     La tregua ricercar per alcun giorno
Non meno util sarà che grata e pia,
E più tosto vergogna e crudo scorno
A chi pur la negasse apporterìa.
Or quanti regi e duci erano intorno
Di così altera e nobil compagnia
Approvar de i consigli il proprio effetto
Che Clodino e ’l Borgondo avevan detto.
xxxvi
     Cotal fermo fra loro, il re Clodasso
Ideo fece appellarse ed Anfione,
Dicendo lor: Movete ratto il passo
Del britannico Arturo al padiglione,
E gli dite in mio nome ch’io son lasso,
Come d’esser anch’egli avrìa cagione,
Di veder notte e giorno in cotal sorte
Di sì chiari guerrier l’acerba morte;
xxxvii
     E per mostrare al cielo e ’l mondo insieme
Che da me non starà d’imporne fine,
Gli offro il largo terren che Cera preme
Ove la rapid’Era ha per confine,
E d’indi innanzi le sue rive estreme
In fin ch’ad essa il suo viaggio inchine:
Che sarà molto più di quel ch’io tegno
Di Boorte e di Ban del picciol regno;
xxxviii
     Ma con tal condizion ch’a me si serve
Tutto il supremo onor delle contrade,
E le sue innumerabili caterve
Delle lor region truovin le starde.
Poi perchè l’onor debito s’osserve
Di seppellir ogni uom che morto cade
E perchè ’l disegnato ordin ne segua
Per almen nove dì si faccia tregua.