Vai al contenuto

Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/108

Da Wikisource.

cix
     I mesti sacerdoti d’ogn’intorno
D’aspri porci setosi, tauri et agne,
Tutte d’atro colore il manto adorno,
Vittime fanno all’infere campagne,
Alla pallida dea ch’al tristo giorno
Dal suo terrestre vel l’alma scompagne,
All’ingordo Pluton che d’ora in ora
Tutto quel ch’è mortal laggiù divora.
cx
     Poi che già sono stanchi, e l’alto foco
Consumato il gran rogo in basso cade,
Ciascun sedendo del medesmo loco
Ingombra tutte a cerchio le contrade.
Raffrenata del cor la doglia un poco,
Portate intorno fur per varie strade
Per l’impero del re vino e vivande,
Il cui bramato odor dolcezza spande.
cxi
     Ivi chi mensa avea l’ignuda terra,
Poi che d’ogni altro arnese era privato,
Chi ’l forte scudo suo dall’empia guerra
Rivolgea tosto in più gradito stato.
Chi le vicine pietre aggiunte serra
E più alto il suo seggio ha fabbricato;
Altri larghe stendean co i propri velli
Di tori e di monton le nuove pelli.
cxii
     Ma il famoso Clodasso, pur vicino
Sott’aureo padiglione al loco istesso,
Ivi spandendo prezioso vino
Chiama il gran Giove e gli altri dei con esso.
Al gran rettor dell’infero confino
Fece il medesmo riverente appresso;
Poi de’ gran cavalier la mensa piena
Realissima feo funebre cena.
cxiii
     Nè l’onorata Albina e Claudiana
Le più nobil matrone hanno in dispregio,
Ma con voce dolcissima et umana
Lor concessero al suo sembiante pregio:
E ciascuna ebbe par, nulla sovrana,
Delle pie donne il bel drappello egregio,
Che ’n tal guisa mischiata era ogni sede
Ch’ivi non apparia la fronte o ’l piede.
cxiv
     Or mentre si pascea di dolci note,
Più che d’esca o di vin, l’eletta schiera,
Già nascondendo il sol l’aurate rote
Con l’ali umide sue venia la sera.
L’ultime voci allor triste e devote
Disciogliendo ciascun che ’ntorno iv’era
Disse: O turba onorata, al basso inferno
Viva del tuo valore il grido eterno.
cxv
     Così d’essi ciascun ritruova Avarco,
E ’l passato dolor nel sonno avvolge.
Il medesmo facea, quantunque carco
D’alto stuol di pensier che ’l core involge,
Il grande Arturo, e come truove il varco
Del disegnato fin seco rivolge.
Così tutto interrotto si conduce
Di sonno in sonno all’apparita luce;
cxvi
     La quale essendo ancor con l’altre impresa
Nelle tregue funèbri, intorno spende
A ricercar se intera ogni difesa
Sia del suo campo ancora: e l’un riprende,
Lo scusa appresso, poi che meglio ha intesa
La sua ragione, e l’altro al cielo stende
Con alte lodi e pregii e ’n tai soggiorni
Trapassar della tregua i dati giorni.