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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/110

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xi
     Ma questo al re Vagorre si conviene,
Che nell’ultima età già muove il passo:
Ma non a Seguran, che desio tiene
Di lassarse in onore ogni uom più basso
E che in quella stagion con gli anni viene
Ove il senno s’accresce e ’l valor lasso
Non è dal tempo ancor, ma regnan l’ore
In cui più d’ambedue risplende il fiore.
xii
     Io non venni d’Avarco già in aita
Con tanti cavalier dal regno iberno
Nè a Claudiana mia sempre gradita
Con bel laccio d’amor mi cinsi eterno
Per menar poi nascoso oscura vita
E degli antichi miei restare scherno:
I quai, fossi sprezzando, argini e muri,
Sol della spada loro eran sicuri.
xiii
     Senta io prima di me ’l cenere sparso
De’ venti in preda al tempestoso cielo
O da vil foco consumato et arso
Da’ miei stessi nemici il mortal velo
Che d’onor ricercar mi faccia scarso
D’altrui ricordo o di temenza gielo,
E ch’io non sia tenuto da ciascuno
Degno erede fra lor del sangue Bruno.
xiv
     E se ’l suocero mio con tutti voi
Sol di guardar Avarco avea desire
Nè volea per valor d’alcun de’ suoi
In alcun tempo mai le porte aprire,
A che sì lunge in van richiamar noi
E tanti cavalier di tanto ardire?
Perch’assai men valore, assai men gente
A difendervi dentro era possente.
xv
     Ma per un sì gran re non basta solo
Il suo seggio sovrano aver difeso
E tarpato al nemico l’ali e ’l volo
Che nel vostro terreno avea già preso:
Ma quel romor che l’uno e l’altro polo
Delle vostre vittorie avea compreso
Mantener vivo sì, che faccia fede
Ch’all’estreme giornate anco non cede.
xvi
     E chi ben peserà con dritta lance
Quanto giove il mostrare ardito il core
In assedio cotal, non fole o ciance
Stimerà il nostro andar sovente fuore
E le piastre smagliare e ’l romper lance
E ’l tenere i nemici in tal timore,
Che con sicuro cor goder non ponno
Il giorno il riposar, la notte il sonno.
xvii
     Se voi restaste ognor dentro a quei fossi
E vi mostraste sol sopra le mura,
Sarìan d’ogni sospetto gli altri scossi,
Come i vostri ripien d’ogni paura:
Che sempre han da viltà gli spirti mossi,
Chi con la pruova assai non gli assicura,
Quei che vengon novelli alla battaglia
Nè san l’arme d’altrui quel ch’ella vaglia.
xviii
     Poi noi siam tanti duci insieme, e tali,
Tanti gran cavalier di nome altero
Ch’a tre volte più schiere di mortali
Non devremmo d’un piè sciorre il sentiero.
Non fa il numero sol le forze eguali,
Nè di bramata palme arreca impero,
Ma il gran senno, il valor, l’ardire e l’arte
Di cui certo è fra noi più larga parte.
xix
     Non sia dal vostro dir dunque oggi tolta,
Sacratissimo re, la chiara strada
A così gran virtù per voi raccolta
D’insanguinar talor la chiara spada
E diradar di quei la schiera folta
A cui il nostro morire e l’onta aggrada;
Ma n’aprite il cammin di gire al cielo
Dell’arbor cinti del signor di Delo.
xx
     Detto ch’ebbe così, s’assise e tacque
L’invitto iberno, e surse Palamoro,
Ch’al santonico mar non lunge nacque,
Possente di terren, d’impero e d’oro,
Di Clodasso parente, a cui già spiacque
Veder le nozze che concesse foro
Al fero Seguran di Claudiana
Ch’era allor del suo cor donna e sovrana:
xxi
     E sposata l’avrebbe, se non fusse
L’aspra necessità del vecchio padre
Che per lei sola Segurano indusse
Di venirlo a servir con le sue squadre.
Or così acerbamente a lui percusse
Il cor l’invidia che dell’odio è madre,
Che contra ogni opra sua, contra ogni detto
Di nemico ad ognor mostrò l’effetto.
xxii
     Surse dunque, e poi disse: Io non saprei
Condannar, Seguran, quel che voi dite,
Che ’l valore e l’ardir de i sommi dei
Grazie son sovra tutte alte e gradite,
E che sien fra i mortali i semidei
Quei ch’ardore onorato all’arme invite
Disprezzando del mondo ogni altra sorte
Per la vita immortal comprar con morte;
xxiii
     Ma dico ancor ch’ove il bisogno sprona
Che si debba temprar l’arme e ’l desio,
Che divin l’intelletto il ciel ne dona
Perchè scerner possiamo il dritto e ’l rio:
Nè quella opra medesma è sempre buona,
Nè per usarla ognor l’ha fatta Dio,
Ma il modo, la cagione, il tempo e ’l loco
Dan fede alla virtù tra ’l troppo e ’l poco.
xxiv
     Se noi siam per guardar la patria terra
E null’altro voler ne preme il core,
Perchè deviam con perigliosa guerra
Cercare indi acquistar privato onore
E non aver de’ ben che ’n sen riserra
La dovuta per noi cura e timore,
Che non vengano in man de’ nemici empi
Le matrone, i figliuoli e i sacri tempi?