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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/114

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lxvii
     Tornate indietro, o chiaro Maligante,
Ch’un sì onorato re non giunga a morte
Senza soccorso avere, a gli occhi innante
D’un guerrier come voi famoso e forte,
E che del nome pio fu sempre amante
E per quel mantener sprezza ogni sorte
Che può dura avvenir, sì come mostra
In mille region la gloria vostra.
lxviii
     Così dicea Boorte, ma sorpreso
Di sì oscuro timore era il buon duce
Che senza il suo ricordo avere inteso
Verso il vallo del campo si conduce:
Ond’ei soletto il ratto corso ha steso
Nel suo soccorso, e qual amica luce
Dalle tenebre oscure ond’è sepolto
Con la presenza sol l’ha tutto sciolto,
lxix
     E ’n dolce ragionar diceva: Tema
Non stringa il gran rettor del freddo sito
Che la nemica forza il vinca o prema
Ove Boorte suo non sia impedito:
Ch’o l’accompagnerà nell’ora estrema
O il trarrà scarco di salute al lito.
E ’n tai parole del destriero scende
E con le braccia poi nel mezzo il prende,
lxx
     E del morto caval disotto il tira
E sopra un altro il pon ch’ivi ha de’ suoi.
Nè ben fermo era ancor, quando rimira
Larga schiera venir sopra ambeduoi.
Ponsi dietro il gran vecchio e si rigira
Verso i nemici, ed a lui dice: Voi,
Nobilissimo re, tornate il passo
Dal passato cader percosso e lasso
lxxi
     Verso il campo de’ nostri, e non vogliate
In periglio maggior di nuovo entrare:
Che ’l valor primo e la presente etate
Vi pon gloria apportar, non che scusare;
E vedete in ver noi le stelle irate
Tòrne la virtù antica e minacciare,
Che a più giovin di voi, di più vigore,
Di divina temenza han pieno il core:
lxxii
     Nè vogliate a i nemici eterna gloria
Dar con vostro gran danno o vostra morte,
Et a noi, quanti semo, estrema noia
Più ch’altra ch’avvenir mai possa forte.
Me col giovin stuol che viva o muoia
Par ch’al pubblico ben non molto importe,
Lassate pruova far s’oggi il ciel vuole
Far che questo ne sia l’ultimo sole.
lxxiii
     E ’n tal modo pregando, rimontato,
Che nuova asta e caval gli diè Gaveno,
Ove vien Seguran s’è rivoltato,
Che d’aver quel gran re di speme è pieno.
Con la lancia l’incontra, e ’l destro lato,
Ove scudo non è, percuote a pieno
Sì che sentir potea che la percossa
Uscìa da cavalier di estrema possa.
lxxiv
     Nè con forza minor da lui riceve
Aspro e duro ferir, ma nello scudo:
Ch’oltre avrìa trapassato, in modo è greve,
Se l’omero di quel trovava ignudo.
L’uno e l’altro caval veloce e leve.
Qual saettato stral da braccio crudo,
Già scorso è innanzi, mentre vanno in alto
D’ambe l’aste i troncon rotti all’assalto.
lxxv
     Non posson ritentar battaglia nuova
Nè rivolger indietro i lor destrieri,
Chè ciascuno intricato si ritruova
Tra i pedon che seguiano e i cavalieri.
Va innanzi Seguran facendo pruova
In tra i miglior dell’Orcadi guerrieri
S’ei potesse arrivare il buon re Lago,
Ma più d’onor che di sua morte vago;
lxxvi
     Che sovra ogni altra palma avria gradita
Il poter lui menar seco in Avarco.
Che gli parrìa d’aver la strada trita
Per far Clodasso d’ogni affanno scarco.
Ma la speranza sua venne fallita
Dal fero Lionel, che chiude il varco
Al suo correr veloce e ’ncontra sprona
E col brando fatal l’elmo gl’intuona:
lxxvii
     Sì che forza gli fu fermare il passo
E risponder a lui ch’ancor seguìa.
E la seconda volta scende in basso
L’istesso colpo alla medesma via:
E del suo gran valor restato casso
Forse che ’l fero Iberno ne sarìa,
Se non che ’l raddoppiar ch’ultimo venne
Con lo scudo dal capo alto sostenne.
lxxviii
     Allor come leon, ch’al toro è presso
Onde spera bramar la fame acerba,
Che ’mpedito dal can si volge ad esso
E ’n lui la cruda voglia disacerba:
Che col morso e co l’unghia il tiene oppresso,
Riversato aspramente sopra l’erba;
Rivolto a Lionel l’omer gli fere
E ’l destro braccio a terra fea cadere:
lxxix
     Se non era sì forte il fino acciaro
Che la spalla in quel loco a guardia avea
Ch’all’andar molto adentro fè riparo;
Ma con tanto furor la spada aggreva
Che per l’aspro dolor ch’ei sente amaro
Va in basso il braccio, e tardi si rileva:
Sì ch’avea Seguran commoda sorte
Di poterlo condurre in breve a morte.
lxxx
     Ma il cugin suo Beven, ch’era vicino,
Come madre al figliuol subito accorre,
E tal l’altro ferì, ch’a capo chino
Restar il fa senza lo spirto accorre.
Or Lionel, biasmando il suo destino
E lodando il guerrier che lui soccorre,
Già riprende vigore, e ’l braccio alzando
Può, come fusse mai, stringere il brando;